IL FUOCO E IL NULLA





Mi appresto certo a riempire, sodomizzare, mi appresto a riempire questi taccuini di tutto il mio odio, il mio amore. Mi appresto a gingillarmi sui gingilli, a renderli soffici, piacevoli, quasi appuntiti. Mi appello a tutte le mie forze, tutte le mie parole, ma i suoni e i segni graffiano dopo un po’ sulle pareti della sopportazione.

“Stai a spegne il foco” diceva Carletto e forse aveva ragione. Ma a volte il fuoco si spegne mentre cerchi di attizzarlo. Sto a spegne il foco perché voglio un’altra scintilla, perché troppo caldo brucia, o sto a spegne il foco perché è ciò che va fatto. Forse lo sto a spegne perché proprio “non ci so capito ncazzo” e mi pare tanto probabile. Però a forza di sbatterci su ste carbonelle poi vedi l’ardente. Senti l’odore piacevole di affumicato sulla tua felpa nera e vecchia, e il crepitio, e torni ad accenderlo, solo un altro po’ poi può pure andarsene che voglio restare così. A occhi distesi a guardare le stelle e gli ufo a catinelle, a sentire i consigli del buio, il freddo che piano piano arriva e adesso ci voleva.

Che il fuoco è tutto ciò che ci resta non sono d’accordo, e a lasciarlo solo si reinventa incendio, e ti spazza via l’Amazzonia, la Siberia e pure la Sardegna. Che ci mette un attimo a diventare stronzo, da piccolo e dolce, e va bene la libertà, la distruzione che dopo c’è il nuovo, però un po’ attenti pure ci potete stare.

Allora meglio un foco che arde a mostro solo pochi attimi in cui tu hai il bastone, in cui si alza pure tanto e ti lancia lapilli e sputazzi che altro che i caccoli roventi del fumaccio del Novi. Meglio un foco che va e viene, e forse a volte per parecchio non torna, che una passione che distrugge, annichilisce.

Il taccuino intanto mi scruta, sempre lì a portata di mano, a misura di penna. Potrei aggiungere, devastarlo come in una mortale gang bang con dei pirati, ma penso che non si sia mai visto così, splendido, tranquillamente vuoto. E una sottile griglia di futuri possibili lo veste a poco a poco, e lui non si muove, pare andargli bene.


Vorrei pressarlo, imbottirlo, farcirlo come un panino, ma il ritorno al respiro mi fa incontrare con il suo leib. E da korper passa a dirmi, a sussurrarmi. Sta bene col grigio, col nuvolo, col silenzio. E intanto fuori piove a un ritmo bello, che si spezza e ricompone sui tendaggi del vicinato. E intanto il cane dall’altra parte del muro singhiozza un singolo minuto abbaio, che rende tutto più calmo,

intoccabile.





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