SOGNOMORTO



“Ecco, sono morto.”

Ero vivo, se non altro.
L’esperienza era stata reale. Con il vantaggio che ora potevo sfruttarla.
Arrotolato nelle coperte, zuppo di sudore e con il cuore che rimbalzava come una pallina da flipper.
La mia solita stanza. Il mio letto cigolante. Il mio portale per il paese delle meraviglie.
È  la prima volta che sogno di morire.  Avventura entusiasmante, non c’è che dire.



Mi alzai dal letto, togliendomi la tuta e la maglietta per asciugarmi gambe e schiena, fisicamente ero lì, ma la mia mente era rimasta all’ultimo secondo della mia vita. Ero davvero vivo? Mi sembrava impossibile. Ero morto davvero. In automatico andai al bagno e svuotai la vescica, poi mi trascinai in cucina e mi preparai il solito the alla vaniglia. Feci colazione, ingurgitando biscotti a raffica, dopo averli inzuppati a dovere. Dopo tutto quello che avevo passato mi sembrava il minimo …



Quando fu terminato il liquido inzuppatorio, riposi i biscotti nella loro tana e strisciai per il corridoio, fino alla mia cameretta. Mi resi conto della puzza di chiuso, aprii la finestra per  dieci secondi, sventolai un’anta e poi rabbrividendo la chiusi e mi fiondai nel letto, ancora caldo dall’ultima ronfata. Decisi di dormire ancora e prendermi la mia rivincita. Mi tirai le coperte fino al collo, e mi raggomitolai come un feto nella mia bara.
Chiusi gli occhi, avevo freddo, ma questo non mi impedì di precipitare nel buio. Un buio totale. Vuoto.
Balzai sul letto atterrito. Avevo addosso l’orribile sensazione di essere deceduto. Mi guardai le mani.
“Sono morto? Sto sognando?”  mi sentivo spaesato. Non avevo dormito. Ero stato il nulla. Non ero stato da nessuna parte. Il freddo. Il buio. Sentivo gli arti rigidi, pesanti, come addormentati. Mi misi a sedere sul letto, e dopo un attimo capii che non era il caso di dormire ancora.


Mi sentivo triste, vuoto, gelido. Come un morto vivente vegetariano.
Mi vestii ignorando ogni emozione, spaventato e infastidito, uscii di casa , bardato , con la sigaretta in bocca e le mani in tasca.
Fumai velocemente, camminai meccanicamente fino in stazione, feci il biglietto e nell’attesa fumai un’altra sigaretta, appoggiato a una colonna.  Arrivò il treno e nell’istante prima di salire ebbi un sussulto, lo ignorai e nervoso saltai sul primo vagone.


 Camminai lungo il corridoio, senza cercare un posto dove sedermi, avanzai imperterrito, la mandibola serrata, gli occhi persi, spalancati. Poi ebbi la certezza.
 La sensazione che mi assillava era un segnale, mi fermai di scatto, “sto sognando!” pensai d’un tratto,
“non può essere altrimenti”. Mi guardai intorno, tutto mi sembrava così irreale, eppure così unico e prezioso. Poi agii d’istinto e sparai un pugno con tutta la forza che avevo contro una parete.
Urlai, il dolore mi riportò alla realtà. Tutti i passeggeri mi guardavano spaventati. Probabilmente mi ero rotto le nocche, ma almeno quella straziante incombenza era sparita.





Era notte. L’una e ventidue del diciassette gennaio duemiladodici.
Dopo aver scolato due lattine di birra e fumato un’ultima sigaretta , mi spogliai e mi buttai esausto sul materasso, mi tirai addosso le coperte e svenni.



Spalancai le palpebre di scatto. Affannato mi tirai su, aggrappandomi al lenzuolo.
Poggiai i piedi sul pavimento freddo e corsi in bagno, davanti allo specchio mi toccai più volte la faccia, per assicurarmi che esistessi ancora. Gridai di frustrazione. Non capivo.


Ero impazzito? Andai su e giù per la casa tirandomi i capelli. Non sognavo più. Nel sonno non esistevo più.
Ero come una macchina spenta.



Non ero impazzito.
Avevo perso la mia umanità.

Ero solo morto. Morto nei sogni. 

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