Strega

Strega.

Mi strappi gli occhi e danzi nel fuoco.
Frustrazione.

Resti nell'ombra dei tuoi capelli,
graffi r.e.m.,
accenni un sorriso che lacera,
come la lama fredda di Febbraio.

Come le fila di un esercito invisibile,
impronte,
scavate nel fango della negazione più torbida,
come un ruscello morto.

La comunicazione insiste,
batte come un tamburo,
ma il ritmo si spezza,
non sa decidere.

C'è un cimitero di carta,
e il segno, puro,
e mummie di canarino.

E squarcerei il rito, 
e lo offrirei in sacrificio,
all'altare psichico,
 dell'Energia.

E brucerei le mie divagazioni,
e le mie poesie,
strapperei i miei discorsi,
e la mia vanità.

è una ballata macabra,
omicidi per amore,
è un esame, un ramo,
un arrivare a capire.

Serro la mascella,
ho voglia di essere triste,
era così bello stare male,
seduti sul divano,
a guardarsi ammalare.

E ora chi sono?
le mie frasi hanno un senso?
sono il prodotto del male o una clessidra vuota?

Le mie dita indicano,
la mia voce canta,
i miei occhi sporchi di brina,
attraversano banchi di nebbia.

I miei piedi dolgono,
e si riposano al sole,
di un inverno che sembra sognato.

Nutro i miei sensi,
con la sofferenza,
è un piatto prelibato,
che preclude la saggezza.

Sono diverso,
non mi arrocco nel riccio,
mi ubriaco e ballo,
fino a cadere dalle scale.

Mi perdo da solo,
azzardo e sorrido,
ma ho una spina nel fianco,
che mi dà la zappa sui piedi.

Tra foreste di pennelli,
e guru ciechi,
missionari incompresi e discese di pietra.

Giudizi,
dal vento,
dai prati.

Giudizi da sopra i tetti,
giudizi e sputi.

Ma con la veste di legno,
si libra in volo,
la strega.

Ha una maschera perfetta,
levigata.

è magica e realistica,
come la vita.

è impalpabile,
e forse non esiste.

è la mia fantasia che scrive sui muri,
che vomita, satura di veleno,
incatenata al terrore e ai mortali sentimenti.

è assenzio.
Marijuana.

è vodka e pugni,
crisi di panico.

è sogno lucido,
e dipinto catastrofico.

La statua di una storia,
la fotografia di un sordomuto,

è l'unico pasto di un povero,
condito col tartufo.

Un mimo senza mani,
che scimmiotta il caso,
la natura primordiale che schiaffeggia gli animali.

Ho una crosta sulla testa,
di una ferita antica,
cucita con la disciplina,

un rasoio bastardo,
non fa caso al passato,
strappa i punti e la riapre,
come un vulcano eruttato.

Alla fine,
ritengo di dover essere,
di osare, 
come il folle imbranato che ogni tanto si fa serio.

Ritengo che gli armadi,
siano fatti per riporre,
i letti per scopare,
e i cuscini sono più piccoli,
ma hanno il loro senso.

e i tappeti,
sono stupidi,
come un orso innamorato.

Non ho bisogno di consigli,
ma di insulti, sberle e urli.

Non ho voglia di parlare,
eppure mi scopro logorroico,

così osservo tutti gli altri,
e vedo che passeggiano,
bianchi, come l'intonaco fatto male.

ma quell'edera,
sui mattoni,
mi sta facendo impazzire.

è popolata dagli insetti,
e nasconde,
con le sue fronde,
le costruzioni artificiali,
ritrovando la spontaneità e la leggerezza.

Essendo sale.

Un pò come Rino,
una chitarra senza corde che accompagna un violino,
sulle note di una crescita esterna,
impalcature di foglia, 
coscienza eterna.
Eterna voglia.




















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