Solitudine cosciente

C'è una città infinita sotto di noi,
ci divide solo l'attenzione.

Il respiro.
La coscienza profonda,
che dimora in un secondo,
antitempo.

Un occhio, 
tra le nuvole in tregua,
mi spia,
serio e premuroso.

E appoggiato ad un lampione,
sorrido,
solo;
nelle fauci del nemico,
che accarezzo,
senza indugio,
come farei con un cane sdentato.

O con un ponte vecchio.

Come i miei sogni da bambino,
i miei incubi astratti.

Le mie allucinazioni, personali.
Forse questo, è il fiume giusto.
Quello del disegno.

La richiesta di soccorso,
che invocavo in codici,
d'espressione pura.

E l'arte mi colpì.

Con una punta di diamante.

E io me la sfilai di dosso,
e poi fu mia.

Fu il mio destriero,
più alto e fidato.

La mia spada laser.

La mia capanna sull'albero.

Non conosco il nemico, 
diciamo che lo perdono.

Sono arso. Come un tronco.
Come un albero orgoglioso,
che si abbraccia nel suo rogo.

Non mi spengo con l'acqua,
lei danza con me,
in un turbine di niente,
che mi accarezza dentro.

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