Il nuovo svezzamento



Il mio corpo non le vuole più certe cose, ma a metà, tipo il tahini o quella merda dello yogurt di soya. 

La mia gola non lo voleva più il tabacco, le mie viscere l’alcol. Ma in queste ero giunto a saturazione, la metà si era restituita coprendo l’interezza e mettendo d’accordo gli impulsi. 

Attanagliato, schiavo e poi libero. Dopo la suzione si svezza, e i miei denti se non trovano un tubicino da succhiare, un collo da capovolgere o un capezzolo da mordere si stringono in un abbraccio salivoso e digrignante. 

 Entrano in gioco queste orride pappe dunque, queste mousse invereconde che non possono piacere, almeno non in grandi dosi, e invece si sono sostituite al latte della vita di un ansioso. 
Salse brodose, spermatiche quasi, scolature ottenute dalla fermentazione, o dalla spremitura che m’invadono la gola e mi appiccicano il palato.
Omogenizzati ogm, non liquidi, alimenti scomposti che defeco impastati a granella di semi e fibre di ogni sorta.
<<Come cazzo mangi lù?>>
 Sono io che lo dico, voi, mia nonna soprattutto. Un po’ ci avete anche ragione, lo percepisco anche attraverso gli splendidi conati del giovedì mattina. 

Attraverso questi flussi ragionati da psicanalisi che mi aprono il cranio e lo dilungano su autostrade improvvisate, raccordi male organizzati. 
Più lo si corrode più il corpo diventa ipersensibile. 
Le scorze, grattugiate mostrano il bianco, il filamentoso, scoprono la polpa e la rendono oscena. 

Con il passare degli arnesi sulla pelle questa s’assottiglia e persino gli odori si accaniscono sui nervi prendendoli a schiaffi. 

Io mi assottiglio nonostante le poltiglie, nonostante le flebo di spiritualità concentrata. 
Più si impara a capire e più si capisce che sarebbe stato molto meglio capire tempo addietro, ma non conta.

I tempi di ognuno sono personali, imprescindibili. 
Più s‘impara a capire e più si capisce che non c’è granché da capire. 

La voglia di capire è necessaria, l’aspettativa mica tanto. 


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